martedì 31 gennaio 2012
di neve, lettura e Neruda
Di ritorno da Firenze, il treno corre sugli appennini e c'è neve. Neve ovunque che crea una luce quasi irreale. Il cielo è ancora bianco e sembra di sentire il silenzio. Non esisterebbe giorno migliore per una tazza di the (provato stamattina uno all'arancia e cannella... buonissimo), camino acceso, piumino e qualche buona lettura, quelle ti gratificano lo spirito e ti lasciano un sorriso. Sono fuori casa da ieri e riflettevo sul fatto che in hotel non ho nemmeno acceso la televisione. Non ne sento l'esigenza, soprattutto in camera da letto perchè ho sempre preferito la lettura, dove trovi le parole e le immagini ce le metti tu, di fantasia.
Ed ho anche ripensato al post dell'altro giorno con l'accenno della poesia di Neruda. Penso sia stato limitativo. La riporto tutta, si tratta di "Ode alla Vita" ed è un pensiero speciale che merita di essere letto. Buona lettura.
CHI MUORE (Ode alla vita)
di Pablo Neruda
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.
lunedì 30 gennaio 2012
Modern Play House... finalmente!
In treno verso Firenze e reduce da un week-end dedicato a scelte per la nuova casa, ho letto su Bravacasa (eh già letture ispirate..) un articolo su un "gioco-kit" molto carino.
Si tratta di "Modern Play House" ed è stato ideato dal MOMA di New York (edito in Italia da Corraini).
Si tratta in breve di un kit di costruzioni che contiene 6 scatole modulari con funzione di muri divisori, 8 mobili da combinare, 6 tipi di pavimento e 13 accessori riposizionabili. Ogni parte dell'arredo può essere montata anche al contrario per sperimentare, ideare, verificare tutti i nostri progetti per la casa.
Quale sarà la funzione di ogni stanza? Come modifica uno spazio la quantità di mobili che contiene? E la loro disposizione? Le combinazioni di motivi e di colori possono cambiare un ambiente?
Troviamo anche accessori quali lampade di tutti i tipi, orologi e camino in versione stick per cambiare e decidere la loro disposizione definitiva. Io lo trovo davvero carino... ci medito, ma mi sa proprio che me lo compro... baci baci
Si tratta di "Modern Play House" ed è stato ideato dal MOMA di New York (edito in Italia da Corraini).
Si tratta in breve di un kit di costruzioni che contiene 6 scatole modulari con funzione di muri divisori, 8 mobili da combinare, 6 tipi di pavimento e 13 accessori riposizionabili. Ogni parte dell'arredo può essere montata anche al contrario per sperimentare, ideare, verificare tutti i nostri progetti per la casa.
Quale sarà la funzione di ogni stanza? Come modifica uno spazio la quantità di mobili che contiene? E la loro disposizione? Le combinazioni di motivi e di colori possono cambiare un ambiente?
Troviamo anche accessori quali lampade di tutti i tipi, orologi e camino in versione stick per cambiare e decidere la loro disposizione definitiva. Io lo trovo davvero carino... ci medito, ma mi sa proprio che me lo compro... baci baci
sabato 28 gennaio 2012
venerdì 27 gennaio 2012
giovedì 26 gennaio 2012
Intervista, che non c'è, di Oriana Fallaci a Federico Fellini
Questo è l'incipit dell'intervista di Oriana Fallaci a Fellini. L'intervista non c'è, non l'ho riportata.
Quello che mi interessava è questo incipit che ti toglie il fiato, che quasi ti sembra di esserci nelle notti di New York, nell'attesa, nella sfida e nella rincorsa tra i due. Leggetela, anche se è lunga perchè nemmeno ve ne accorgerete delle righe che corrono sotto i vostri occhi, bellissima!
Milano, febbraio 1963
Quello che mi interessava è questo incipit che ti toglie il fiato, che quasi ti sembra di esserci nelle notti di New York, nell'attesa, nella sfida e nella rincorsa tra i due. Leggetela, anche se è lunga perchè nemmeno ve ne accorgerete delle righe che corrono sotto i vostri occhi, bellissima!
Milano, febbraio 1963
Conosco Fellini da molti anni, ad esser precisa da quando lo incontrai a New York per la prima americana del suo film Le notti di Cabiria e diventammo un po' amici infatti andavamo spesso a mangiare le bistecche da Jack's o le caldarroste in Times Square dove si poteva anche sparare al tirassegno. A volte, poi, capitava nell'appartamento che dividevo in Greenwich Village con una ragazza di nome Priscilla per chiedermi un caffellatte: il caffellatte alleviando, non ho mai capito perché, le nostalgie della patria e la lontananza della moglie Giulietta. Entrava massaggiandosi affranto un ginocchio, "Quando son triste mi fa sempre male il ginocchio: Giulietta! Voglio Giulietta!" e Priscilla correva a vederlo come io sarei corsa per veder Greta Garbo. Inutile dire che, a quel tempo, Fellini non aveva nulla di Greta Garbo, non era il monumento ch'è oggi. Mi chiamava Pallina, si faceva chiamare Pallino, in certi casi Pallone, si abbandonava a stravaganze innocenti come piangere al bar del Plaza Hotel perché il critico del «New York Times» aveva scritto male di lui, o passare da prode. Frequentava infatti la bionda di un gangster e questi gli telefonava ogni giorno all'albergo dicendo "I will kill you", ti ammazzerò. Lui non sapeva l'inglese e rispondeva "Very well, very well": alimentando la fama di prode. La fama durò fino a quando io non gli spiegai che "I will kill you" vuol dire "Ti ammazzo". Mezz'ora dopo la spiegazione, Fellini era sopra un aereo e viaggiava alla volta di Roma.
Faceva anche altre cose come girare la notte in Wall Street, esaminare con l'aria di un ladro le banche, indurre al sospetto i poliziotti più sospettosi del mondo che finalmente gli chiesero i documenti, lo arrestarono perché non li aveva, e lo chiusero fino alle sei del mattino in una cella dove rimase a gridare l'unica frase che conoscesse in inglese: "I am Federico Fellini, famous Italian director". Alle sei del mattino un poliziotto italoamericano che aveva visto non so quante volte La strada lo udì: "Se sei davvero Fellini, esci fuori e fischia il motivo de La strada". Fellini uscì fuori e con un filo di voce, lui che non distingue una marcia da un minuetto, fischiò tutta la colonna sonora del film. Un trionfo. Con affettuosi pugni allo stomaco che lo indussero a bere brodini per almeno due settimane, i poliziotti gli chiesero scusa, lo riaccompagnarono in albergo scortandolo con motociclette ed auto blindate, lo salutarono con uno strombettare di clacson che si udì fino ad Harlem. A quel tempo Fellini era proprio simpatico.
Quando lo avvicinai per questa intervista lo era un po' meno sebbene mi salutasse, com'è sua abitudine, sollevandomi in un ardentissimo abbraccio, palpandomi dal collo ai ginocchi, giurando che se non fosse stato sposato a Giulietta avrebbe sposato subito me. "A proposito, perché non ci amammo a New York? Ah, quanto fosti cattiva a negarti!" E fingeva di scordare, s'intende, che nemmeno una volta durante le nostre scorribande a New York m'era giunto da lui un romantico cenno, una adulterina proposta che ci distraesse dai reciproci flirt. Aveva girato La dolce vita, un film per cui lo paragonavano a Shakespeare, stava per presentare Otto e mezzo, un film di cui si parlava senza averlo visto come della Divina Commedia, e pur non confessandolo era conscio della gloria che lo illuminava: il suo volto aveva un piglio quasi mussolinesco, i suoi occhi eran gravi, si capiva che non avrei più potuto chiamarlo Pallino o Pallone. Del resto, esauriti gli abbracci, me lo fece capir quasi subito. M'aveva ricevuto, disse, solo perché io ero io; aveva pochissimo tempo e l'unico modo di far l'intervista era farla mangiando. M'invitava per questo nel ristorante dove in quel momento entravamo.
Tentai di distoglierlo da un così orrendo progetto. Il magnetofono funzionava elettricamente, la presa di corrente non c'era, se c'era non era vicino alla tavola: non servì a niente. O al ristorante mentre mangiavamo o in nessun altro luogo e mai più. Cercai dunque una tavola accanto a una presa di corrente, sistemai il magnetofono fra i piatti e i bicchieri, il vassoio degli antipasti, cominciai l'intervista che subito interrotta da innumerevoli telefonate proseguì con la lievità di uno zoppo che corre; tra un rumore di forchette, bottiglie, masticazioni volgari. Riascoltandola risultavano frasi come la seguente "Con questo film ho inteso narrare... tu vuoi il prosciutto o il salame? Io piglio il salame. Quelli che parlano di dialettica metafisica... no, le pastasciutte non le voglio, fanno ingrassare. Una bistecca senza sale, ecco quello che prendo... è così stupido chiudere gli occhi al mistero... crack! din din..., il silenzio che ti circonda e diventa chiarore... le patatine! Perché non mangi le patatine?" Nessun dubbio che bisognava ripeterla. E sospirando, gemendo, Fellini rispose d'accordo: poiché io ero io sarebbe venuto l'indomani alle dieci al mio albergo. "Ma in albergo non stiamo tranquilli, Federico." "Lo saremo. Salirò in camera tua."
La mia camera all'Excelsior non era grandissima e un letto a due piazze la riempiva fino a sfiorar le pareti. Conoscendo la seduzione che i letti esercitano su Federico Fellini, per addormentarvicisi è chiaro, chiesi al manager un appartamento con salotto: "Aspetto Fellini". "Fellini, signorina Fallaci? Oh! Ma certo! Ma sì." E mi dettero l'appartamento dove avevano abitato lo scià di Persia e Soraya: con un salotto che era piuttosto un salone da ballo. Qui mi trasferii, con violentissima spesa, e alle nove e mezzo del mattino seguente ero già pronta a riceverlo: con le sigarette su un tavolo, i fiori su un altro tavolo, un cameriere pronto a portarci il caffè: "Al signor Fellini piace forte e caldo, mi raccomando". Sembravo un seduttore che aspetta la sua nuova vittima per rivelarle le meraviglie del sesso, non mancava che un poco di musica. Ma le dieci vennero e di Fellini nemmeno la traccia. Vennero anche le undici e poi mezzogiorno, l'una, le due, ma di Fellini neanche la voce. Il telefono suonò che eran le tre e mezzo passate ed io inghiottivo insieme alla mortificazione un tè coi biscotti. "Tesorino, amorino, Orianina, bambina, è da stamani che chiamo per dirti che sono in ritardo. Ma dove sei, dove vai, perché non stai mai in albergo. Be', ti perdono, e alle cinque sono da te: non un minuto più tardi."
Deposi convinta il ricevitore: era un bugiardo ma sarebbe venuto. Scesi a prendere aria. "E Fellini?" chiese con un indefinibile sorriso il portiere. "Sarà qui alle cinque" risposi spavalda. Ma le cinque giunsero e Fellini non venne. Non venne neppure alle sei, neppure alle sette, neppure alle otto, e mentre il buio calava sul salone dove aveva abitato Reza Pahlevi, sulla mia attesa delusa, sul mio prestigio schiacciato, sull'impazienza sempre più irritante del mio direttore che da Milano chiamava dicendo allora a che punto siamo, allora è venuto?, suonò liberatore il telefono. "Tesorino, amorino, Orianina, bambina..." Una complicazione imprevista gli aveva impedito, materialmente impedito, di venire da me. Ne era addolorato, confuso, ma lo sapevo che era un uomo con mille impegni. A chiunque altro avrebbe detto non posso, era già molto che non si negasse e rimandasse l'impegno. Comunque mi avrebbe visto quella sera stessa alle undici alla proiezione privata del film in via Margutta. «Guarda, Federico, che sono in ritardo, un ritardo di almeno due giorni, il direttore è arrabbiato, le pagine aperte, guarda Federico..." "Ah! Come osi dubitare di me? Come puoi pensar che non vengo?!? È offensivo, malvagio..."
Eccomi dunque, alle undici di sera, che col mio magnetofono aspetto su un portone di via Margutta Federico Fellini, famous Italian director. So che alle undici non verrà: ma lo aspetto. So che non verrà neppure a mezzanotte: ma lo aspetto. So che non verrà nemmeno all'una: ma lo aspetto. Il film, in sala di proiezione, è incominciato da un'ora, da un'ora e mezzo, da due, da due e mezzo, è finito, la gente esce, si ferma al rinfresco, è finito anche il rinfresco, la gente va via, qualcuno chiude il portone, io mi sposto sul marciapiede, continuo ad aspettare, con gli occhi che mi si chiudono, le gambe che mi si piegano, i teddy boy che mi molestano, continuo ad aspettare: finché passa un tassì e ci salgo. È ormai l'una e mezzo del mattino, rientrando dico al portiere di prenotarmi il primo aereo per Milano. In camera, cado sfinita sul letto. Mi addormento di colpo. Mi risveglio col suono del telefono e una melliflua voce che canta: "Tesorino, amorino, Orianina, bambina, ma perché non sei venuta?!" "Perché parto" rispondo. "Dovevo far le valige: il mio aereo parte domattina alle otto." "Ma è il mio aereo! Anch'io parto alle otto! Non è straordinario? Comodissimo? Parleremo in aereo." Inutile dire che perse l'aereo. Oh, il biglietto l'aveva, e anche la prenotazione. Quel volo era il suo, a Milano lo aspettavano cronisti e fotografi, perché non lo perdesse il suo produttore gli aveva mandato la Cadillac con l'autista. Ma perse l'aereo lo stesso. E quando esso giunse a Linate, i fotografi corsero alla scaletta, sulla scaletta c'ero io che scendevo e due americani dell'Oklahoma, quattro francesi di Nimes, due industriali lombardi di Concimi Chimici e Affini. Fellini giunse a mezzogiorno col mio benvenuto rilasciato a un amico: che andasse all'inferno, e ci restasse. Ammesso che anche all'inferno non fosse sgradito.
Italiani e cinesi, norvegesi e cileni, messicani e francesi, indiani e groenlandesi, popoli tutti della terra, ricordate. Non si manda all'inferno Federico Fellini sennò Federico Fellini si arrabbia, si arrabbia come una bestia e vi telefona insultando il babbo, la mamma, la zia, la nonna, i cognati, i nipoti, i cugini, e vi ricorda che lui è un grande regista, un artista, un grandissimo artista, e in virtù di questo può mancare a tutti gli appuntamenti che vuole, perdere tutti gli aerei che vuole, anzi gli aerei farebbero bene ad aspettarlo perché Federico Fellini si aspetta, ciascuno di noi è nato per aspettare Federico Fellini eccetera eccetera, amen. Ero al giornale quando telefonò e gridava tanto che tutti lo udirono mentre mi ricordava che Federico Fellini è un grande regista, un artista, un grandissimo artista, tirando fuori una voce che avrebbe fatto morir di spavento il gangster che aveva fatto morir lui di spavento, insultandomi a morte mentre immaginavo il suo piglio mussolinesco, la sua saliva che copriva come rugiada il telefono, il suo faccione sudato d'ira ed orrore per la blasfemia che avevo osato commettere. Tentai di girare con garbo gli insulti, di spiegargli quel che pensavo in quel momento di lui. Non mi udì, non mi udiva. E mentre tutti ridevano commentandone gli urli, dolcemente deposi il ricevitore.
Cominciò allora una crisi: giacché non è cattivo, lo giuro. Gli è andata male ad andar così bene, ecco tutto: nemmeno sant'Antonio resisterebbe alla sciagura di tanta fortuna, e ciò sveglia la violenza emiliana che cova sotto quell'aria di pacifico gatto. Però dopo gli dispiace moltissimo, fino alle lacrime, è capace di chiamar cento persone per dirvi che il suo cuore è straziato, che vi vuol bene come a Giulietta, che vi ha sempre voluto un gran bene, che ve ne vorrà finché resta al mondo eccetera eccetera, amen. Finché, come un ipnotizzato o un sonnambulo, vi trovate a salire sulla Cadillac che vi ha inviato per andare da lui, a percorrer la strada pensando che la colpa è vostra e non sua, a entrare in ascensore dicendovi come farà a perdonarmi, infine ad aprire la porta della sua stanza d'albergo col volto di Giuda che ha venduto Gesù. Qui trovarlo disteso come Ibn Saud sopra un letto, beato, ronfante, che dice con la sua vocetta melliflua "Tesorino, amorino, Orianina, bambina...", poi essere
stretti in un abbraccio sinistro e ascoltarlo durante una ancor più sinistra serata. L'intervista che segue Fellini volle rileggerla e la rilesse tre volte: ogni volta apportando alle sue risposte correzioni diverse, opinioni nuove, pentimenti improvvisi. È l'intervista meno genuina di tutta la serie, non una frase di essa è stata scritta senza pensarci e ripensarci. Il Codice napoleonico e la Costituzione americana costarono certo meno fatica di questo documento prezioso. Io gli volevo bene davvero a Federico Fellini. Dopo quel tragico incontro gliene voglio assai meno, ho anche smesso di dargli del tu. Lui può anche negarlo. Ma, come dice Jeanne Moreau un po' più in là, egli è un tale bugiardo che la menzogna diventa alla sua buona fede verità sacrosanta.
Faceva anche altre cose come girare la notte in Wall Street, esaminare con l'aria di un ladro le banche, indurre al sospetto i poliziotti più sospettosi del mondo che finalmente gli chiesero i documenti, lo arrestarono perché non li aveva, e lo chiusero fino alle sei del mattino in una cella dove rimase a gridare l'unica frase che conoscesse in inglese: "I am Federico Fellini, famous Italian director". Alle sei del mattino un poliziotto italoamericano che aveva visto non so quante volte La strada lo udì: "Se sei davvero Fellini, esci fuori e fischia il motivo de La strada". Fellini uscì fuori e con un filo di voce, lui che non distingue una marcia da un minuetto, fischiò tutta la colonna sonora del film. Un trionfo. Con affettuosi pugni allo stomaco che lo indussero a bere brodini per almeno due settimane, i poliziotti gli chiesero scusa, lo riaccompagnarono in albergo scortandolo con motociclette ed auto blindate, lo salutarono con uno strombettare di clacson che si udì fino ad Harlem. A quel tempo Fellini era proprio simpatico.
Quando lo avvicinai per questa intervista lo era un po' meno sebbene mi salutasse, com'è sua abitudine, sollevandomi in un ardentissimo abbraccio, palpandomi dal collo ai ginocchi, giurando che se non fosse stato sposato a Giulietta avrebbe sposato subito me. "A proposito, perché non ci amammo a New York? Ah, quanto fosti cattiva a negarti!" E fingeva di scordare, s'intende, che nemmeno una volta durante le nostre scorribande a New York m'era giunto da lui un romantico cenno, una adulterina proposta che ci distraesse dai reciproci flirt. Aveva girato La dolce vita, un film per cui lo paragonavano a Shakespeare, stava per presentare Otto e mezzo, un film di cui si parlava senza averlo visto come della Divina Commedia, e pur non confessandolo era conscio della gloria che lo illuminava: il suo volto aveva un piglio quasi mussolinesco, i suoi occhi eran gravi, si capiva che non avrei più potuto chiamarlo Pallino o Pallone. Del resto, esauriti gli abbracci, me lo fece capir quasi subito. M'aveva ricevuto, disse, solo perché io ero io; aveva pochissimo tempo e l'unico modo di far l'intervista era farla mangiando. M'invitava per questo nel ristorante dove in quel momento entravamo.
Tentai di distoglierlo da un così orrendo progetto. Il magnetofono funzionava elettricamente, la presa di corrente non c'era, se c'era non era vicino alla tavola: non servì a niente. O al ristorante mentre mangiavamo o in nessun altro luogo e mai più. Cercai dunque una tavola accanto a una presa di corrente, sistemai il magnetofono fra i piatti e i bicchieri, il vassoio degli antipasti, cominciai l'intervista che subito interrotta da innumerevoli telefonate proseguì con la lievità di uno zoppo che corre; tra un rumore di forchette, bottiglie, masticazioni volgari. Riascoltandola risultavano frasi come la seguente "Con questo film ho inteso narrare... tu vuoi il prosciutto o il salame? Io piglio il salame. Quelli che parlano di dialettica metafisica... no, le pastasciutte non le voglio, fanno ingrassare. Una bistecca senza sale, ecco quello che prendo... è così stupido chiudere gli occhi al mistero... crack! din din..., il silenzio che ti circonda e diventa chiarore... le patatine! Perché non mangi le patatine?" Nessun dubbio che bisognava ripeterla. E sospirando, gemendo, Fellini rispose d'accordo: poiché io ero io sarebbe venuto l'indomani alle dieci al mio albergo. "Ma in albergo non stiamo tranquilli, Federico." "Lo saremo. Salirò in camera tua."
La mia camera all'Excelsior non era grandissima e un letto a due piazze la riempiva fino a sfiorar le pareti. Conoscendo la seduzione che i letti esercitano su Federico Fellini, per addormentarvicisi è chiaro, chiesi al manager un appartamento con salotto: "Aspetto Fellini". "Fellini, signorina Fallaci? Oh! Ma certo! Ma sì." E mi dettero l'appartamento dove avevano abitato lo scià di Persia e Soraya: con un salotto che era piuttosto un salone da ballo. Qui mi trasferii, con violentissima spesa, e alle nove e mezzo del mattino seguente ero già pronta a riceverlo: con le sigarette su un tavolo, i fiori su un altro tavolo, un cameriere pronto a portarci il caffè: "Al signor Fellini piace forte e caldo, mi raccomando". Sembravo un seduttore che aspetta la sua nuova vittima per rivelarle le meraviglie del sesso, non mancava che un poco di musica. Ma le dieci vennero e di Fellini nemmeno la traccia. Vennero anche le undici e poi mezzogiorno, l'una, le due, ma di Fellini neanche la voce. Il telefono suonò che eran le tre e mezzo passate ed io inghiottivo insieme alla mortificazione un tè coi biscotti. "Tesorino, amorino, Orianina, bambina, è da stamani che chiamo per dirti che sono in ritardo. Ma dove sei, dove vai, perché non stai mai in albergo. Be', ti perdono, e alle cinque sono da te: non un minuto più tardi."
Deposi convinta il ricevitore: era un bugiardo ma sarebbe venuto. Scesi a prendere aria. "E Fellini?" chiese con un indefinibile sorriso il portiere. "Sarà qui alle cinque" risposi spavalda. Ma le cinque giunsero e Fellini non venne. Non venne neppure alle sei, neppure alle sette, neppure alle otto, e mentre il buio calava sul salone dove aveva abitato Reza Pahlevi, sulla mia attesa delusa, sul mio prestigio schiacciato, sull'impazienza sempre più irritante del mio direttore che da Milano chiamava dicendo allora a che punto siamo, allora è venuto?, suonò liberatore il telefono. "Tesorino, amorino, Orianina, bambina..." Una complicazione imprevista gli aveva impedito, materialmente impedito, di venire da me. Ne era addolorato, confuso, ma lo sapevo che era un uomo con mille impegni. A chiunque altro avrebbe detto non posso, era già molto che non si negasse e rimandasse l'impegno. Comunque mi avrebbe visto quella sera stessa alle undici alla proiezione privata del film in via Margutta. «Guarda, Federico, che sono in ritardo, un ritardo di almeno due giorni, il direttore è arrabbiato, le pagine aperte, guarda Federico..." "Ah! Come osi dubitare di me? Come puoi pensar che non vengo?!? È offensivo, malvagio..."
Eccomi dunque, alle undici di sera, che col mio magnetofono aspetto su un portone di via Margutta Federico Fellini, famous Italian director. So che alle undici non verrà: ma lo aspetto. So che non verrà neppure a mezzanotte: ma lo aspetto. So che non verrà nemmeno all'una: ma lo aspetto. Il film, in sala di proiezione, è incominciato da un'ora, da un'ora e mezzo, da due, da due e mezzo, è finito, la gente esce, si ferma al rinfresco, è finito anche il rinfresco, la gente va via, qualcuno chiude il portone, io mi sposto sul marciapiede, continuo ad aspettare, con gli occhi che mi si chiudono, le gambe che mi si piegano, i teddy boy che mi molestano, continuo ad aspettare: finché passa un tassì e ci salgo. È ormai l'una e mezzo del mattino, rientrando dico al portiere di prenotarmi il primo aereo per Milano. In camera, cado sfinita sul letto. Mi addormento di colpo. Mi risveglio col suono del telefono e una melliflua voce che canta: "Tesorino, amorino, Orianina, bambina, ma perché non sei venuta?!" "Perché parto" rispondo. "Dovevo far le valige: il mio aereo parte domattina alle otto." "Ma è il mio aereo! Anch'io parto alle otto! Non è straordinario? Comodissimo? Parleremo in aereo." Inutile dire che perse l'aereo. Oh, il biglietto l'aveva, e anche la prenotazione. Quel volo era il suo, a Milano lo aspettavano cronisti e fotografi, perché non lo perdesse il suo produttore gli aveva mandato la Cadillac con l'autista. Ma perse l'aereo lo stesso. E quando esso giunse a Linate, i fotografi corsero alla scaletta, sulla scaletta c'ero io che scendevo e due americani dell'Oklahoma, quattro francesi di Nimes, due industriali lombardi di Concimi Chimici e Affini. Fellini giunse a mezzogiorno col mio benvenuto rilasciato a un amico: che andasse all'inferno, e ci restasse. Ammesso che anche all'inferno non fosse sgradito.
Italiani e cinesi, norvegesi e cileni, messicani e francesi, indiani e groenlandesi, popoli tutti della terra, ricordate. Non si manda all'inferno Federico Fellini sennò Federico Fellini si arrabbia, si arrabbia come una bestia e vi telefona insultando il babbo, la mamma, la zia, la nonna, i cognati, i nipoti, i cugini, e vi ricorda che lui è un grande regista, un artista, un grandissimo artista, e in virtù di questo può mancare a tutti gli appuntamenti che vuole, perdere tutti gli aerei che vuole, anzi gli aerei farebbero bene ad aspettarlo perché Federico Fellini si aspetta, ciascuno di noi è nato per aspettare Federico Fellini eccetera eccetera, amen. Ero al giornale quando telefonò e gridava tanto che tutti lo udirono mentre mi ricordava che Federico Fellini è un grande regista, un artista, un grandissimo artista, tirando fuori una voce che avrebbe fatto morir di spavento il gangster che aveva fatto morir lui di spavento, insultandomi a morte mentre immaginavo il suo piglio mussolinesco, la sua saliva che copriva come rugiada il telefono, il suo faccione sudato d'ira ed orrore per la blasfemia che avevo osato commettere. Tentai di girare con garbo gli insulti, di spiegargli quel che pensavo in quel momento di lui. Non mi udì, non mi udiva. E mentre tutti ridevano commentandone gli urli, dolcemente deposi il ricevitore.
Cominciò allora una crisi: giacché non è cattivo, lo giuro. Gli è andata male ad andar così bene, ecco tutto: nemmeno sant'Antonio resisterebbe alla sciagura di tanta fortuna, e ciò sveglia la violenza emiliana che cova sotto quell'aria di pacifico gatto. Però dopo gli dispiace moltissimo, fino alle lacrime, è capace di chiamar cento persone per dirvi che il suo cuore è straziato, che vi vuol bene come a Giulietta, che vi ha sempre voluto un gran bene, che ve ne vorrà finché resta al mondo eccetera eccetera, amen. Finché, come un ipnotizzato o un sonnambulo, vi trovate a salire sulla Cadillac che vi ha inviato per andare da lui, a percorrer la strada pensando che la colpa è vostra e non sua, a entrare in ascensore dicendovi come farà a perdonarmi, infine ad aprire la porta della sua stanza d'albergo col volto di Giuda che ha venduto Gesù. Qui trovarlo disteso come Ibn Saud sopra un letto, beato, ronfante, che dice con la sua vocetta melliflua "Tesorino, amorino, Orianina, bambina...", poi essere
stretti in un abbraccio sinistro e ascoltarlo durante una ancor più sinistra serata. L'intervista che segue Fellini volle rileggerla e la rilesse tre volte: ogni volta apportando alle sue risposte correzioni diverse, opinioni nuove, pentimenti improvvisi. È l'intervista meno genuina di tutta la serie, non una frase di essa è stata scritta senza pensarci e ripensarci. Il Codice napoleonico e la Costituzione americana costarono certo meno fatica di questo documento prezioso. Io gli volevo bene davvero a Federico Fellini. Dopo quel tragico incontro gliene voglio assai meno, ho anche smesso di dargli del tu. Lui può anche negarlo. Ma, come dice Jeanne Moreau un po' più in là, egli è un tale bugiardo che la menzogna diventa alla sua buona fede verità sacrosanta.
mercoledì 25 gennaio 2012
click
Il momento unico, veloce ed irripetibile di uno scatto. Fermare la vita che scorre e rinchiudere la sua energia che sia uno scatto qualunque od una testimonianza storica, una di quelle immagini che vedremo per anni e che ci hanno cambiato la vita.
Appare impossibile pensare ad un tempo nel quale solo disegni e racconti potevano essere testimonianza del mondo, dei posti lontani, di quelli che sapevamo non avremmo visto mai.
Per questo, credo che la fotografia abbia rivoluzionato il mondo e sia una delle forme espressive più potenti di sempre. E per questo mi piacerebbe essere capace di fare di meglio, molto meglio.
Alcuni esempi.
Appare impossibile pensare ad un tempo nel quale solo disegni e racconti potevano essere testimonianza del mondo, dei posti lontani, di quelli che sapevamo non avremmo visto mai.
Per questo, credo che la fotografia abbia rivoluzionato il mondo e sia una delle forme espressive più potenti di sempre. E per questo mi piacerebbe essere capace di fare di meglio, molto meglio.
Alcuni esempi.
lunedì 23 gennaio 2012
Pop art
"Il termine di POP art è stato proposto nel 1955 da due studiosi inglesi, Fielder e Banham, riferendosi a quell'amplissimo repertorio d'immaginazione popolare costituito dai rotocalchi, dai fumetti, dalla televisione e dal cinema stesso, dalla musica leggera e dai prodotti industriali di consumo, cioè da quel reportorio immaginativo che serve le attuali comunicazioni di massa". cit. "La pop art" testo di Enrico Crispolti, Fratelli Fabbri editori 1966.
Ho questo libretto sulla pop art da moltissimo tempo e la sua nota più interessante è lo spirito così contemporaneo all'arte che descrive. Nel momento nel quale è stato scritto, infatti, si parlava ovunque ormai dell'arrivo di questa arte popolare (popolar art - pop art appunto). Il libro si apre con un'introduzione sui cartelloni pubblicitari per le strade di New York, esempio tangibile di una nuova forma di comunicazione così visiva.
Un piccolo giro, ma veramente piccolo rispetto a quanto meriterebbe, nella pop art più immediata e conosciuta, ma con la promessa di riportare qui anche qualche nome e qualche quadro tra i "non - famosi".
Per adesso Lichtenstein e Warhol. Una piccola nota: entrambi sono stati in mostra alla Triennale di Milano nel passato.. e noi li aspettiamo di nuovo...
enjoy
Ho questo libretto sulla pop art da moltissimo tempo e la sua nota più interessante è lo spirito così contemporaneo all'arte che descrive. Nel momento nel quale è stato scritto, infatti, si parlava ovunque ormai dell'arrivo di questa arte popolare (popolar art - pop art appunto). Il libro si apre con un'introduzione sui cartelloni pubblicitari per le strade di New York, esempio tangibile di una nuova forma di comunicazione così visiva.
Un piccolo giro, ma veramente piccolo rispetto a quanto meriterebbe, nella pop art più immediata e conosciuta, ma con la promessa di riportare qui anche qualche nome e qualche quadro tra i "non - famosi".
Per adesso Lichtenstein e Warhol. Una piccola nota: entrambi sono stati in mostra alla Triennale di Milano nel passato.. e noi li aspettiamo di nuovo...
enjoy
domenica 22 gennaio 2012
nel cassetto...
Oggi stavo cercando in un cassetto ed ho trovato un foglio che avevo stampato anni fa.
Sono alcuni aforismi che avevo letto e voluto tenere. Eccoli:
- parla lentamente, ma pensa con rapidità;
- non prenderti gioco mai dei sogni degli altri;
- non lasciare che le cose diventino normali, ordinarie, scontate;
- portarsi sempre avanti;
- usa i tuoi bicchieri di cristallo tutti i giorni;
- ogni giorno che vivi è un'occasione speciale;
- non permettere che un piccolo disguido danneggi una grande amicizia;
- abbi fiducia in Dio, ma chiudi bene la tua auto;
- apri le braccia al cambiamento, però non disfarti dei tuoi valori;
- quando dici "ti amo" dillo sul serio;
- per sapere quanto vale per te qualcuno o qualcosa immagina il dolore che proveresti se li perdessi;
- quando dici "mi dispiace" guarda la persona negli occhi;
- se qualcuno ti fa una domanda alla quale non vuoi rispondere, sorridi
venerdì 20 gennaio 2012
Walker Evans e lo sguardo sull'America
Qualche anno fa ero a Firenze per lavoro, che strano... capita praticamente tutte le settimane, ma quella volta ho deciso di passare al Museo Alinari della Fotografia del quale avevo letto sul giornale. E' stato lì - in modo assolutamente inaspettato - che mi sono imbattuta in una mostra dedicata alle fotografie di Walker Evans.
Nelle sue foto ho potuto vedere la società americana degli anni '30, sorpresa nelle proprie case durante giorni qualunque, nelle strade delle piccole città o sui manifesti. Per non dimenticare, ho comprato il libro della mostra che ho sfogliato l'altra sera ed ho deciso di condividere qui.
Alcune tra le foto più belle.
Buona visione
Rientrato negli Stati Uniti si avvicinò alla fotografia in modo sempre più professionale e sul piano interiore, iniziò a misurarsi con quello che era in quel periodo uno dei massimi fotografi: Alfred Stieglitz. Considerava il lavoro di Stiegletz troppo''artistico ''esteriore'' e lontano dalla realtà sociale.
Evans predilige l'ambiente industriale rispetto a quello rurale ed il suo occhio attento scruta il confine tra campagne inurbate e periferie che distruggono inerosorabilmente la natura
Entrato a far parte dello staff della FSA (Farm Security Administration) nel 1935: l’organismo del governo americano impegnato nel monitoraggio delle politiche e della situazione economico sociale delle aree rurali del paese.
Nelle sue foto ho potuto vedere la società americana degli anni '30, sorpresa nelle proprie case durante giorni qualunque, nelle strade delle piccole città o sui manifesti. Per non dimenticare, ho comprato il libro della mostra che ho sfogliato l'altra sera ed ho deciso di condividere qui.
Alcune tra le foto più belle.
Buona visione
Biografia - dalla rete.
Walker Evans è un nome di spicco nel panorama della fotografia della prima metà del Novecento, documentò gli affetti della Grande Depressione americana (crisi del 29).
Nato a St. Louis, Missouri, da una famiglia benestante, dopo aver studiato in alcune scuole esclusive lavorò per un breve periodo alla Public Library di New York e, nel 1926, partì per Parigi dove frequentò per un anno alcuni corsi alla Sorbona.
Rientrato negli Stati Uniti si avvicinò alla fotografia in modo sempre più professionale e sul piano interiore, iniziò a misurarsi con quello che era in quel periodo uno dei massimi fotografi: Alfred Stieglitz. Considerava il lavoro di Stiegletz troppo''artistico ''esteriore'' e lontano dalla realtà sociale.
Per la FSA Evans ha svolto reportages documentando la vita dell’America più rurale all’indomani della crisi economica del 1929 .
Sin dall'inizio del suo lavoro lo troviamo in giro per gli stati del sud e del centro sud con la sua inseparabile macchina di grande formato (una Folding 20 x 25), sempre intento a raccogliere, con una onestà senza compromessi, con una visione netta, austera e semplice, documenti diretti e spesso frontali sulle condizioni del paese, sulla situazione degli affittuari, sulle loro case, sui loro beni, sui sistemi di lavoro, sui raccolti, le scuole, i magazzini. Spesso egli tralascia di cogliere gli abitanti di questi edifici, ma chi guarda le sue foto riesce facilmente ad indovinare la loro presenza e il loro aspetto.
Sin dall'inizio del suo lavoro lo troviamo in giro per gli stati del sud e del centro sud con la sua inseparabile macchina di grande formato (una Folding 20 x 25), sempre intento a raccogliere, con una onestà senza compromessi, con una visione netta, austera e semplice, documenti diretti e spesso frontali sulle condizioni del paese, sulla situazione degli affittuari, sulle loro case, sui loro beni, sui sistemi di lavoro, sui raccolti, le scuole, i magazzini. Spesso egli tralascia di cogliere gli abitanti di questi edifici, ma chi guarda le sue foto riesce facilmente ad indovinare la loro presenza e il loro aspetto.
I suoi lavori sono un documento eccezionale sulla vita e le disastrose situazioni delle vittime della grande depressione americana. E’ un classico esempio di fotografo con una grande sensibilità sociale -oggetto di questa indagine sembra essere quindi il paesaggio che circonda la città-(non le grandi o almeno non solo-ma quelle di provincia)-quanto le città stesse ed il loro rapporto con l'ambiente circostante.
Evans predilige l'ambiente industriale rispetto a quello rurale ed il suo occhio attento scruta il confine tra campagne inurbate e periferie che distruggono inerosorabilmente la natura
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Walker Evans; Firenze
giovedì 19 gennaio 2012
E alla fine tocca a Carrie
Areoporto di Londra. Pomeriggio qualunque, ultimo shopping compulsivo finiamo-tutti-i-pound.
E' stato allora che ho messo i piedi in libreria e lui era lì, mi guardava e l'ho sentito chiamare. 5 minuti dopo uscivo con la mia shopping bag piena di questo ed altri libri in inglese, quelli che ti compri perchè in quel momento ti senti lanciata, tutti ti hanno capito durante la vacanza e tu sei forte del tuo inglese! E ti dici: "Da adesso in poi solo libri e film in lingua originale!". E poi già tanto se ne leggi uno.
Ma lui era lì che mi aspettava, paziente e discreto nella libreria. Mi ha anche lanciato qualche scintillante richiamo la mattina quando mi alzo e ci passo davanti. E finalmente è toccato a lui. Eccolo!!! Sono a pag. 37, non lo posso ancora commentare, ma non mentirò nemmeno stavolta sulla mia lettura del momento. però esercito l'inglese, no?
E poi Carrie non si rinnega mai! Le devo molto...
E' stato allora che ho messo i piedi in libreria e lui era lì, mi guardava e l'ho sentito chiamare. 5 minuti dopo uscivo con la mia shopping bag piena di questo ed altri libri in inglese, quelli che ti compri perchè in quel momento ti senti lanciata, tutti ti hanno capito durante la vacanza e tu sei forte del tuo inglese! E ti dici: "Da adesso in poi solo libri e film in lingua originale!". E poi già tanto se ne leggi uno.
Ma lui era lì che mi aspettava, paziente e discreto nella libreria. Mi ha anche lanciato qualche scintillante richiamo la mattina quando mi alzo e ci passo davanti. E finalmente è toccato a lui. Eccolo!!! Sono a pag. 37, non lo posso ancora commentare, ma non mentirò nemmeno stavolta sulla mia lettura del momento. però esercito l'inglese, no?
E poi Carrie non si rinnega mai! Le devo molto...
mercoledì 18 gennaio 2012
dall'ispirazione al Vasa di Stoccolma in un solo post
L'ispirazione per fare, disfare e progettare è qualcosa di prezioso. Così come la voglia, così fugace in questi giorni, di creare, costruire e metterci tutto quello che abbiamo. Oggi ho visto questa immagine, mi è piaciuta e ci volevo riflettere un po' sopra.
Una volta mi ispiravo guardando cartoni animati, leggendo Topolino (ebbene sì ne ho una collezione), ma soprattutto disegnando. Una grande passione che poi - chissà perchè - se ne è andata con gli anni. Forse il tempo, ma poi non è mai vero, è una stupida scusa che ogni tanto mi dico. Forse la voglia, che è più probabile. Magari ricomincio!
Crescendo è stata la lettura il mio inspiration point, passione mai sopita e poi l'arte. Gli esempi maestosi di cervelli più grandi e magnifici.
E sempre il vero motore della mia esistenza è stato il viaggio, come ormai sapete. Il tornare diversi da quando si è partiti, più aperti, arricchiti. Mi ha sempre impressionato molto sentire i racconti degli spostamenti di secoli fa, che duravano giorni o mesi fatti di strade sterrate, locande, cavalli o mari infiniti. Ma a pensarci bene forse ti gustavi più il percorso, la meta era veramente lontana e si poteva parlare di conquista.
Srivendo questo mi è venuto in mente il Vasa, maestosa nave vista a Stoccolma. Questa imponente e meravigliosa regina del mare è affondata poco dopo la sua partenza, ma è stata recuperata, restaurata ed è un prezioso ed unico esempio della vita di bordo e delle imbracazioni dell'epoca (XVII secolo). Ecco alcune foto (la prima dalla rete, le altre tutte Francescaland originali). La visita è davvero consigliata! Vengono ricostruiti in modo assolutamente realistico anche le sembianze degli abitanti della nave, con tanto di storia della loro vita ed abiti originali oltre ad uno spaccato tematico sulla vita dell'epoca (guardate la muta da sub del 1600!!!!!).
L'impatto più bello è però il primo con la nave entrando nella mega sala che la ospita. Wow!
L'impatto più bello è però il primo con la nave entrando nella mega sala che la ospita. Wow!
martedì 17 gennaio 2012
consiglio della buonanotte....
...Tornata a casa ora e vi voglio consigliare un posto particolare, se siete a Milano o se vi trovate qui di passaggio. Andate a mangiare a "Al' Less", viale Lombardia, 28.
Come dice il nome si mangiano meravigliosi bolliti, ma ve lo consiglio soprattutto per il locale. Si tratta di una serra - ancora piena di piante (credo alcune in vendita) - e dove potete mangiare circondati da un arredamento decisamente vintage, molto particolare.
Ammetto di abitare a Milano ma di averlo scoperto da un giornale (Dove), ma ho voluto testare di persona!
Buona notteeee
Come dice il nome si mangiano meravigliosi bolliti, ma ve lo consiglio soprattutto per il locale. Si tratta di una serra - ancora piena di piante (credo alcune in vendita) - e dove potete mangiare circondati da un arredamento decisamente vintage, molto particolare.
Ammetto di abitare a Milano ma di averlo scoperto da un giornale (Dove), ma ho voluto testare di persona!
Buona notteeee
innocenti evasioni
"Curiosità non è se non vanità.
Quasi sempre, si vuol sapere solo per discorrerne.
Non si affronterebbero viaggi per mare, se non si dovesse mai dirne nulla, e per il solo piacere di veder cose nuove, senza la speranza di poter mai parlarne con altri"
Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)
Ed in effetti, la condivisione, il diario di viaggio, i consigli sono uno degli argomenti che preferisco nelle conversazioni. Darne e riceverne per capire meglio, affrontare un posto nuovo sia con gli strumenti della conoscenza di chi c'è stato prima di me sia con la indispensabile inconsapevolezza di aggiungere il mio tocco personale, che non deve mancare mai.
Sono giorni inquieti, a bassa motivazione che spingono la mente semprepiù in là verso nuove mete (voglia di andare a Berlino ad esempio, che non conosco) e rimandano verso avventure passate. E si spolverano fotografie, come queste.
Nell'ordine Bubba Gump Shrimp & Co. (NY), Istanbul (palazzo reale), Malaga, Carnaby Street (London), Formentera.
lunedì 16 gennaio 2012
Down at work? Fish Philosophy!
Stamattina davvero non ne avevo voglia, voglia di essere qui, voglia di trattare argomenti che di certo non mi interessano il lunedì mattina, come moltissimi tra voi immagino. Però mi è caduto l'occhio su un libro che da anni tengo sulla scrivania, ecco la foto (proprio presa dalla mia scrivania: il libro è il primo che si vede):
Il libro si chiama "FISH!" di Stephen C. Lundin, Harry Paul e John Christensen e sono almeno 6 anni che lo porto con me sulle varie scrivanie che ho occupato, sopravvissuto anche ad un trasloco di casa-ufficio-lavoro-vita! Il libro è semplice, ma speciale e racconta la storia di un posto che ci può aiutare a capire meglio come comportarsi sul luogo di lavoro ed - esattamente - il mercato del pesce di Pike Place di Seattle.
In breve, la manager protagonista del libro - incaricata di risollevare un ufficio a basso livello di motivazione - riesce a comprendere le regole che governano questo mercato nel quale regnano armonia, voglia di fare e collaborazione sincera tra i propri membri. Vi consiglio davvero di leggerlo, soprattutto se alle prese con un momento di down lavorativo e mi permetto una citazione dal libro.
baci baci
"Oggi va di moda credere che non dovremmo mai accontentarci di fare qualcosa che non ci piaccia. Scrivi poesie! Viaggia per il mondo in barca a vela! Dipingi! Fai qualsiasi cosa ti garbi e i soldi arriveranno. Nell'intimo siamo persuasi che la vita sia troppo corta per trascorrere le ore di lavoro facendo qualcosa che non coincida con il nostro ideale e continuiamo a cercare il posto di lavoro perfetto. Se questa ricerca del lavoro ideale ci fa concentrare sul futuro, corriamo il rischio di non cogliere le meraviglie della vita che sono qui davanti a noi, oggi, in questo preciso momento. La verità è che nella realtà ci sono mille cose che impediscono di inseguire il lavoro ideale e perfetto. Molti di noi hanno una famiglia, con le respnsabilità che ne conseguono, anche in termini di tenore di vita. Altri non sono ancora riusciti a capire quale sia la loro vocazione. E alcuni di noi sono così presi dai problemi personali da non avere letteralmente il tempo o l'energia per guardarsi attorno ed esplorare nuovi campi professionali.
Fish! è una parabola, una storia immaginaria sulla scoperta della fonte primigenia dell'energia, della creatività e della passione che covano in ognuno di noi. Tutti noi possiamo imparare ad amare quello che facciamo, anche se ora come ora non stiamo facendo esattamente quello che ci piacerebbe."
Il libro si chiama "FISH!" di Stephen C. Lundin, Harry Paul e John Christensen e sono almeno 6 anni che lo porto con me sulle varie scrivanie che ho occupato, sopravvissuto anche ad un trasloco di casa-ufficio-lavoro-vita! Il libro è semplice, ma speciale e racconta la storia di un posto che ci può aiutare a capire meglio come comportarsi sul luogo di lavoro ed - esattamente - il mercato del pesce di Pike Place di Seattle.
In breve, la manager protagonista del libro - incaricata di risollevare un ufficio a basso livello di motivazione - riesce a comprendere le regole che governano questo mercato nel quale regnano armonia, voglia di fare e collaborazione sincera tra i propri membri. Vi consiglio davvero di leggerlo, soprattutto se alle prese con un momento di down lavorativo e mi permetto una citazione dal libro.
baci baci
"Oggi va di moda credere che non dovremmo mai accontentarci di fare qualcosa che non ci piaccia. Scrivi poesie! Viaggia per il mondo in barca a vela! Dipingi! Fai qualsiasi cosa ti garbi e i soldi arriveranno. Nell'intimo siamo persuasi che la vita sia troppo corta per trascorrere le ore di lavoro facendo qualcosa che non coincida con il nostro ideale e continuiamo a cercare il posto di lavoro perfetto. Se questa ricerca del lavoro ideale ci fa concentrare sul futuro, corriamo il rischio di non cogliere le meraviglie della vita che sono qui davanti a noi, oggi, in questo preciso momento. La verità è che nella realtà ci sono mille cose che impediscono di inseguire il lavoro ideale e perfetto. Molti di noi hanno una famiglia, con le respnsabilità che ne conseguono, anche in termini di tenore di vita. Altri non sono ancora riusciti a capire quale sia la loro vocazione. E alcuni di noi sono così presi dai problemi personali da non avere letteralmente il tempo o l'energia per guardarsi attorno ed esplorare nuovi campi professionali.
Fish! è una parabola, una storia immaginaria sulla scoperta della fonte primigenia dell'energia, della creatività e della passione che covano in ognuno di noi. Tutti noi possiamo imparare ad amare quello che facciamo, anche se ora come ora non stiamo facendo esattamente quello che ci piacerebbe."
domenica 15 gennaio 2012
venerdì 13 gennaio 2012
Un diamante da Tiffany
Lo so che nei miei interessi ho inserito letteratura e che magari non vi aspettate questa recensione.
Lo so che la copertina luccicante fa pensare a tutto tranne che a un buon libro, so tutto.
Cassie pensava di aver realizzato il suo sogno d’amore, sposando il suo primo fidanzato. Adesso, a distanza di dieci anni, si sente tradita e a pezzi. Il suo matrimonio è in crisi, non ha un lavoro e nemmeno una casa: ha urgente bisogno di capire chi sia realmente e quale direzione prendere. È ora di voltare pagina e abbandonare la vita fin troppo tranquilla della campagna scozzese… Così decide di passare del tempo con ognuna delle sue migliori amiche, nelle tre capitali più glamour del mondo: New York, Parigi e Londra. In un viaggio ricco di sorprese e incontri inaspettati, dalle vetrine luccicanti della Fifth Avenue ai cafè sugli Champs Elisée, fino alle stradine colorate di Notting Hill, Cassie cercherà di scoprire quale sia la città su misura per lei. E se il futuro ha in serbo per lei un romantico nuovo amore o un inaspettato e travolgente ritorno di fiamma.
Lo so che la copertina luccicante fa pensare a tutto tranne che a un buon libro, so tutto.
Ma a me questo libro è piaciuto per davvero (a parte alcuni errori di traduzione qua e là). Ma vi spiego anche perchè. La protagonista passa diversi mesi nelle città dove abitano le sue più care amiche e cioè New York, Parigi e Londra ed il libro è pieno di bellissime descrizioni oltre che - udite udite - di indirizzi davvero utili per scoprire le città. Locali, strade, stradine, ristoranti... io credo davvero ne prenderò nota. E vi consiglio di leggerlo, magari non ci farà riflettere sui massimi sistemi ma secondo me un sorriso o una lacrimuccia ve li strappa.
Il libro.
Cassie pensava di aver realizzato il suo sogno d’amore, sposando il suo primo fidanzato. Adesso, a distanza di dieci anni, si sente tradita e a pezzi. Il suo matrimonio è in crisi, non ha un lavoro e nemmeno una casa: ha urgente bisogno di capire chi sia realmente e quale direzione prendere. È ora di voltare pagina e abbandonare la vita fin troppo tranquilla della campagna scozzese… Così decide di passare del tempo con ognuna delle sue migliori amiche, nelle tre capitali più glamour del mondo: New York, Parigi e Londra. In un viaggio ricco di sorprese e incontri inaspettati, dalle vetrine luccicanti della Fifth Avenue ai cafè sugli Champs Elisée, fino alle stradine colorate di Notting Hill, Cassie cercherà di scoprire quale sia la città su misura per lei. E se il futuro ha in serbo per lei un romantico nuovo amore o un inaspettato e travolgente ritorno di fiamma.
giovedì 12 gennaio 2012
Sex and the city.. again
Stasera non ho resistito...
è vero che da un po' di tempo ho smesso, che adesso mi sono aggiornata e sono passata a gossip girl, ma il primo amore non si scorda mai. Ho allungato la mano verso il cofanetto più gelosamente custodito del mondo ed ho guardato per la milionesima (o miliardesima volta) qualche episodio di Sex and the City. Ho scelto a caso la serie 4 ed ho guardato l'episodio del compleanno di Carrie nel quale c'è questo dialogo diventato mitico:
Carrie: "Cosa ne pensi dell'anima gemella?"
Mr. Big: "Mi piace la parola anima, mi piace la parola gemella. Per il resto, sono tutto tuo"
Anche questa è arte!
è vero che da un po' di tempo ho smesso, che adesso mi sono aggiornata e sono passata a gossip girl, ma il primo amore non si scorda mai. Ho allungato la mano verso il cofanetto più gelosamente custodito del mondo ed ho guardato per la milionesima (o miliardesima volta) qualche episodio di Sex and the City. Ho scelto a caso la serie 4 ed ho guardato l'episodio del compleanno di Carrie nel quale c'è questo dialogo diventato mitico:
Carrie: "Cosa ne pensi dell'anima gemella?"
Mr. Big: "Mi piace la parola anima, mi piace la parola gemella. Per il resto, sono tutto tuo"
Anche questa è arte!
mercoledì 11 gennaio 2012
un salto nel tempo...
Che a me le cose vintage piacciono. Proprio quelle vecchie, magari ammassate in qualche mercatino. E come non pensare a quei meravigliosi libri usati che puoi trovare in una domenica di pioggia lungo il Tamigi, sulle bancarelle a Portobello o nei vicolini di Parigi?
E' perchè amo tutto questo che ho trovato interessantissimo un articolo di ieri su Repubblica in merito alla costruzione di New York: dall'arrivo dei coloni olandesi, al primo villaggio rurale fino alla nascita dell'attuale metropoli. Il tutto corredato di fotografie d'epoca (in mostra ora proprio a New York). Se avete la possibilità vi consiglio di leggerlo, ma ho cercato foto vintage di alcune città proprio seguendo questa ispirazione. Mi sono imbattuta in un sito che vende stampe e foto che non conoscevo (timefreezephotos), ma che ha una selezione di fotografie davvero bella ed ampia (anche solo farle scorrere tutte è bellissimo se vi piace il genere).
baci baci
E' perchè amo tutto questo che ho trovato interessantissimo un articolo di ieri su Repubblica in merito alla costruzione di New York: dall'arrivo dei coloni olandesi, al primo villaggio rurale fino alla nascita dell'attuale metropoli. Il tutto corredato di fotografie d'epoca (in mostra ora proprio a New York). Se avete la possibilità vi consiglio di leggerlo, ma ho cercato foto vintage di alcune città proprio seguendo questa ispirazione. Mi sono imbattuta in un sito che vende stampe e foto che non conoscevo (timefreezephotos), ma che ha una selezione di fotografie davvero bella ed ampia (anche solo farle scorrere tutte è bellissimo se vi piace il genere).
baci baci
Courtland Street - New York - 1900 |
Kensington Palace - Londra |
New York from Brooklin Bridge - primi 900 |
Boston Parigi - 1920 Parigi Vintage |
lunedì 9 gennaio 2012
I posti del cuore.... un primo sguardo...
Se chiudete gli occhi e pensate ai vostri posti del cuore cosa vi viene in mente?
Ho selezionato queste fotografie pensando unicamente alle sensazioni più forti che mi venivano in mente. Chissà quanti ne ho dimenticati e quanti ancora ce ne saranno, ma da qualche parte dovevo pur cominciare no?
Buona visione
Ho selezionato queste fotografie pensando unicamente alle sensazioni più forti che mi venivano in mente. Chissà quanti ne ho dimenticati e quanti ancora ce ne saranno, ma da qualche parte dovevo pur cominciare no?
Buona visione
Aya Sofia - Istanbul |
Museo di storia naturale NY - la balena azzurra di 24 mt appesa al soffitto |
Il Chrysler Building a New York, da tutte le angolazioni. Di giorno e di notte. |
Il tetto dell'Opera di Parigi dipinto da Marc Chagall |
Ground Zero quando era un buco sepolto dal silenzio con la croce di ferro in mezzo. Da brividi. |
Ground zero oggi con la 7WTC, la prima delle nuove torri |
La piazza rossa di Mosca, un vero pugno nello stomaco |
La piazza Rossa vista dalla Basilica di San Basilio |
Villa estiva degli Zar, fuori San Pietroburgo |
Tour Eiffel illuminata sulla quale salire con l'ascensore trasparente |
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