Vi auguro una buona settimana, reduce da un week-end lungo e caldo, che mi ha visto andare a dormire alle 4 dopo secoli e forse non tutti i neuroni si sono ancora ripresi :-)
a presto con qualche foto e una notizia decisamente "strana"
Artisti (e mercato) in movimento di Stefano Baia Curioni, vicepresidente del Centro di ricerca Art, science and knowledge (Ask) della Bocconi
(fonte: www.viasarfatti25.unibocconi.it)
L'arte contemporanea sta vivendo una nuova primavera tra globalizzazione e localizzazione, tradizione e nuovi scenari. Un fenomeno sempre più economico ed estetico.
Crescita impressionante delle opere prodotte e scambiate, marcata globalizzazione ma forti resistenze delle scene artistiche tradizionali (occidentali), trasformazione dei canali di vendita e rilevanza dei sistemi nazionali per la promozione degli artisti: sono questi gli elementi che, negli ultimi anni, si osservano nel marcato dell’arte visiva.
Riguardo al primo, tra il 1998 al 2008 il volume delle aste è cresciuto da 48 milioni a 1,3 miliardi di dollari. Nei due anni successivi si è registrata una riduzione degli scambi (circa il 50% dei volumi), ma già oggi si sono recuperati oltre due terzi delle posizioni, soprattutto nella fascia alta del mercato (per pezzi di valore superiore ai 75 mila dollari). Oggi si stima lavorino nel mondo 375.000 gallerie e advisor e 25.000 case d’asta, con oltre 2 milioni di addetti (A. Zorloni 2011).
Sulla globalizzazione del mercato, dal 2005 al 2010 gli artisti esposti alla fiera di Basilea e provenienti da Far East, America Latina e Africa sono anche triplicati. Le fiere d’arte più frequentate dai visitatori sono state quella di Canton (200 mila visitatori), Nuova Delhi e Buenos Aires (128 e 120 mila ciascuna) oltre a Madrid. La Cina ha sestuplicato il suo fatturato d’asta arrivando a una quota di oltre il 33% del mercato delle aste e una leadership mondiale. D’altra parte, come osserva Alain Quemin, nello stesso periodo la quota di artisti statunitensi ed europei tra i primi 100 del ranking di Kompass è rimasta tra il 90% e il 92%, a dimostrazione di una dominanza dei sistemi di produzione tradizionali. Nel frattempo, sono cambiati anche i canali di vendita: se nel 2005 le gallerie americane vendevano il 50% dei pezzi in galleria, il 25% in asta, e il 25% in fiera, nel 2011 le fiere hanno superato il 40%, la galleria è scesa al 32% e l’asta al 28%. Questo spostamento influenza i registri d’azione e le strategie dei gate-keeper (gallerie e musei), che si trovano incentivati a forme diverse di crescita e di potenziamento. Ne è l’esempio l’acquisto della fiera di Hong Kong da parte di Art Basel, come esplicito atto di espansione di un sistema esteso su scala planetaria e controllato da un numero ristretto di operatori.
Infine, si nota l’importanza dei sistemi urbani e nazionali per la promozione degli artisti, soprattutto con la creazione di reti di alleanze tra gallerie, curatori, musei. Reti che agiscono localmente e globalmente, componendo lo status degli artisti in percorsi che assumono complessità sempre crescenti. Un percorso in cui Usa, Germania e Inghilterra stanno eccellendo, mentre l’Italia è in difficoltà.
Insomma, dalla Seconda guerra mondiale non si assisteva a una simile trasformazione nel commercio dell’immaginario, dell’estetica e del senso. E la questione che tale trasformazione pone non è solo economica. Nell’arte, il mercato è parte di un sistema la cui natura è retorica e le cui implicazioni parlano la lingua della diplomazia culturale.
Un gigantesco e spietato esercizio di memoria teso a produrre una hall of fame di nomi e poetiche che sfidano il tempo e affermano culture egemoni in un gioco sottilmente competitivo.
I prezzi, in questo sistema, sono segnali, servono a tracciare le rotte, con il loro livello talvolta assurdo ribadiscono le immortalità, ma possono anche portare alla rovina.
E vanno sempre interpretati: perché comprare arte non è solo una scelta economica o un’estetica soggettiva. È partecipare alla cultura del tempo, è cantare una nota in un coro, decidere di essere intonati o stonati e prenderne i rischi.
Per fortuna almeno l'arte resiste alla crisi :)
RispondiEliminasì, il messaggio in fondo è positivo
EliminaSicuramente dei dati confortanti nonostante si tratti di un tipo di mercato anomalo sia per il bene in esame sia per il bisogno che spinge una persona qualsiasi all'acquisto di oggetti d'arte. La patria dell'arte cede dunque il primato all'oriente, speriamo però che anche qui vengano incentivati i nuovi artisti. ;)
RispondiEliminaSperiamo davvero, mi piacerebbe sapere che ci si può dedicare all'arte liberamente, ma ahimè non è cosi (ed in effetti non lo è mai stato a parte rarissimi casi)
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