martedì 31 luglio 2012

Di Roma, Firenze e luce....


Stavolta il viaggio di lavoro è stato diverso ed il motivo vero è stato la luce.

Come sempre, sono stata a Roma e Firenze per un paio di giorni, ma mentre di solito i miei spostamenti sono treno-albergo-ufficio stavolta sono uscita all’orario aperitivo in entrambe le città.

Premetto che io appartengo al Firenze-team, la preferisco perché più piccola, elegante ed anche un po’ snob nel sentirsi la più bella, la più colta e la più favolosa d’Italia. Ho sempre trovato Roma bellissima, ma troppo caotica e dispersiva per corpi e pensieri. Però. Si, perché c’è un “però”. Stavolta dicevo sono uscita all’ora aperitivo, ho camminato lungo via Cavour verso i Fori Imperiali e ad un certo punto mi sono accorta della luce. La luce del tramonto romano è spettacolare ed ho cominciato a pensare che in fondo, conoscendola bene e trovando i propri angoli di mondo all’interno del caos, probabilmente si tratta sul serio della città più bella del mondo.



E poi ancora più giù, verso Fontana di Trevi dove il mio angolo di mondo è stato un lampione, che si stava accendendo in quell’istante e che mi ha permesso di fuggire alla muraglia umana di turisti tutti foto e sudore…



Poi, la cena in enoteca e le chiacchiere, mille chiacchiere con un’amica-collega…

E il giorno dopo, Firenze. Firenze che è nel mio cuore da sempre e che la vita mi ha fatto trovare inaspettatamente sul cammino lavorativo. Firenze con i suoi abitanti duri e riservati nonostante le Pieraccionesche credenze popolari. Firenze che si fa perdonare tutto con la sua bellezza, con il suo centro storico da brivido nel quale non mi stupirei di vedere camminare qualcuno in abiti medievali declamando poesie in fiorentino stretto. Dove il tempo si è davvero fermato nei mattoni rossi, nel marmo bianco, nelle statue e palazzi che parlano di arte, poesia e meraviglia.



Il mio giro preferito è centro storico-ponte vecchio-stop all’enoteca Pitti e cena nella piazzetta di Santo Spirito, dal cuore un po’ radical-chic. Ed anche la sera a Firenze si è conclusa con chiacchiere su chiacchiere con un mio caro amico, anche lui a Firenze per lavoro. La bottiglia di vino è rimasta vuota sul tavolo e della fiorentina al sangue sono rimaste poche briciole.
















Ciao Firenze alla prossima…..

mercoledì 25 luglio 2012

Street Art? Kurt Wenner? Le risposte.....

Premessa Francescaland: cercando immagini e qualche notizia approfondita su Kurt Wenner, mi sono resa conto di come la corrente artistica della street art sia ancora solo una nuvola confusa di foto e notizie. Ed è un peccato perchè si tratta di uno dei pochi veri fenomeni di questo secolo e merita di sicuro un profilo più preciso. 

Dopo aver cercato e cercato, cito questo sito (http://theskeletonfashion.wordpress.comcome uno dei pochi che ha tentato di inquadrare l'argomento e dal quale ho tratto alcune informazioni che riporto arricchite da qualche considerazione personale. In seguito, il focus su Kurt Wenner. 

Buon viaggio e buona lettura.....

Street Art

L’«arte di strada» o «arte urbana» è il nome che i mass media hanno dato a quelle forme di arte che si manifestano nei luoghi pubblici trasformandoli in fondali o parte integrante di un’opera d’arte, oggi anche in 3D, con le tecniche più disparate: arte LED, piastrelle a mosaico, murales, stencil art, sticker art, wheatpasting e locandine di strada, proiezioni video, performance art, mobbingflash ed installazioni.


L’arte di strada è il termine usato per distinguere le opera d’arte realizzate negli spazi pubblici dai graffiti e dagli atti di vandalismo. A differenza del «writing» – dove gli artisti utilizzano principalmente la vernice spray a mano libera  – la street Art comprende molti altri mezzi di comunicazione e tecniche. 




L’artista inoltre non vuole imporre necessariamente il suo nome attraverso la «tag» – pseudonimo di ogni graffitista – ma intende creare un’opera d’arte che si contestualizzi nello spazio che la circonda e interagisca con un pubblico diversificato, riprendendo il concetto di perfomance art, in un’arte che però sia duratura nel tempo e non necessariamente «ufficiale». Questi artisti hanno sfidato l’arte collocandola in contesti non-artistici. 


Gli street artists non aspirano a cambiare la definizione di un’opera d’arte, ma piuttosto a mettere in discussione l’ambiente esistente con una propria lingua e condividerla con la gente comune, di strada. 


A tre decenni dalla sua comparsa il fenomeno ha ormai 
guadagnato, tramite le sue influenze sulle arti visive, una rilevanza unica sul panorama della creatività contemporanea internazionale e in particolare sulla pubblicità. Tale relazione è evidente, tra i manifesti pubblicitari e le opere di street Art dislocati nel tessuto urbano. La pubblicità trae da questa nuova forma di arte anticonformista nuove tecniche e spazi urbani per la creazione di campagne non convenzionali, sempre più efficaci e mirate. E a sua volta la street Art fa propri gli schemi testuali della pubblicità, tant’è che risulta difficile tracciare esattamente i confini tra questi due mondi, dove i marchi si confondono con le firme degli artisti. 



Sempre più spesso molti street artists firmano pubblicità e molte pubblicità sembrano pezzi di street Art, come se si trattasse dell'evoluzione moderna della pop art (cartelloni pubblicitari che cambiano forme e tecniche). Forse perché cresciuti nella società dei consumi, questi artisti si esprimono con le più efficaci tecniche pubblicitarie. Nei loro lavori si può notare, infatti, un forte utilizzo di frasi ad effetto, personaggi nazional popolari, particolari impostazioni grafiche. 


Se le istituzioni accomunano l’arte di strada al vandalismo, per pubblicitari e marketing manager non è così. Questi ultimi, infatti, sono stati i primi ad accorgersi del potenziale comunicativo delle tecniche adoperate da questi artisti. 


Kurt Wenner


Kurt Wenner nasce ad Ann Arbor nel Michigan. A 16 anni realizza il suo primo murales su commissione, e l’anno seguente decide che l’arte sarà la sua vita. Frequenta la Rhode Island School of Design e la Art Center College of Design. In seguito viene assunto dalla NASA, per la quale realizza dipinti per progetti spaziali futuri e di paesaggi extraterrestri.

Nel 1982 lascia la NASA e si trasferisce in Italia, a Roma, per studiare arte. Nel 1991 gli viene commissionata dalla città di Mantova un opera in onore della visita di papa Giovanni Paolo II. Sempre in Italia ha realizzato il soffitto della chiesa di San Giorgio sul lago di Como.




Ma la notorietà di Kurt Wenner è dovuta soprattutto ai suoi murales e ai suoi street painting che gli sono valsi numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. A differenza di altri artisti contemporanei, Wenner fonde il patrimonio artistico del passato con l’immaginazione e l’arte del XXI secolo. Le sue opere non copiano i grandi maestri, ma li reinterpretano in chiave moderna.






Nel 1991 la televisione Svizzera ha realizzato uno speciale sul suo lavoro, mentre il documentario Masterpieces in Chalk realizzato dal National Geographic sui suoi street painting ha vinto il primo premio come fine arts division al New York Film Festival del 1987.

Kurt Wenner è un mago dell'anamorfismo, ma che significa?

L'anamorfismo è una tecnica che viene utilizzata già dal 1400, anche se il termine anamorfico viene coniato solo nel 1600. L’anamorfismo consiste nel disegnare un’immagine fortemente deformata, che può essere compresa solo se viene vista da una determinata angolazione. Il risultato da un incredibile senso della tridimensionalità. Il risultato della combinazione delle due tecniche fa si che le opere di Kurt Wenner sembrano uscire dai marciapiedi su cui sono realizzate. Gli oggetti sembrano appoggiati sui pavimenti piuttosto che disegnati sopra, oppure sembra che si apra veramente una voragine davanti all’osservatore. 








Nessun trucco viene utilizzato dall’autore, solo gessetti, marciapiedi e un incredibile senso della prospettiva.




mercoledì 18 luglio 2012

Coming soon.. la pavement art di Kurt Wenner

Ed è un periodo che va così: mi piace la street art, mi piace vedere creazioni temporanee da "museo a cielo aperto" ed ho voluto indagare un po'. Si è aperto un mondo, un insieme di nomi, paesi, colori e illusioni. Sì, perchè nella maggior parte dei casi questa arte si fonde con la superficie che la ospita (soprattutto strade e marciapiedi) per arrivare a creare un momento di pura illusione, un vero gioco.




Il coming soon di oggi è Kurt Wenner






Kurt Wenner, architetto e artista americano, è l'inventore dell'arte di strada tridimensionale, la pavement art 3D. Dopo aver lavorato come illustratore di paesaggi extraterrestri per la Nasa, Wenner si sposta in Italia nel 1982 per studiare arte e nasce il primo approccio con i 'madonnari' e lo studio della tecnica utilizzata per i loro disegni su strada, eseguiti rigorosamente con pastelli e in "live painting". 


La sua è una forma di street art molto elaborata, che utilizza per lo più come tela i marciapiedi, le strade e i pavimenti in generale.

venerdì 13 luglio 2012

Yonaguni - part 2


La struttura è un enorme blocco di roccia lungo 200 metri, largo 150 e alto circa 20, la grandezza della base è paragonabile a quella della piramide di Cheope. Non si sa ancora a quando risalga la struttura anche perchè le avverse condizioni del mare in quel tratto di costa rendono molto difficili le analisi.

Ma-saaki Kimura, docente di Oceanografia all’Università delle Ryukyu, in una intervista rilasciata a “Newton”, descrive la struttura in ogni particolare:

“La prima cosa che si nota nella sezione inferiore è un corridoio che si sviluppa lungo l’intero perimetro e che descrive, nell’estremità occidentale, una curva perfetta intorno alla parete. Dalla facciata Sud, quella principale, partono le scalinate che portano alla zona dei terrazzamenti ad Ovest e a quella che abbiamo definito “sacra” ad Est. Senza dubbio i gradini di alcune scalinate sono alti, alcuni arrivano persino a un metro, tanto da risultare poco agibili per l’uomo. Obiezione alla quale io ribatto che su cinque scalinate, ben tre sono a misura di passo umano e perfettamente percorribili. La piramide è un monolito, cioè un unico blocco di pietra, ma durante le analisi abbiamo trovato numerose pietre aggiuntive di diverse forme e dimensioni. Quelle squadrate, concentrate solo nelle vicinanze della piramide, sembrano frammenti derivanti dai processi di lavorazione della struttura (per esempio l’intaglio delle terrazze e delle scale). Le pietre rotonde, invece, potrebbero far parte di un rudimentale sistema per drenare l’acqua piovana. Si trovano, infatti, concentrate solo vicino a solchi scolpiti sulle superfici di roccia, che probabilmente fungevano da grondaie.”

Questa costruzione potrebbe rivelarsi solo una bizzarra creazione della natura o il più grande ritrovamento archeologico di tutti i tempi, ma la domanda che scuote la scienza è: "chi ha eretto questa piramide?"

Una delle ipotesi si riferisce ad un innalzamento del livello del mare in seguito all’ultima glaciazione (tra i 9.000 e i 10.000 anni fa) che ha probabilmente sommerso il tratto di mare davanti a Yonaguni. C’è da sottolineare che quella dell’ultima glaciazione è una data ricorrente quando si parla di antiche civiltà e misteriosi ritrovamenti archeologici.

Ma-saaki Kimura ipotizza sia stata una popolazione originaria dell’Asia sud-orientale. Sulla civiltà che presumibilmente realizzò l’opera non si sa molto a parte che per realizzare una struttura del genere dovevano avere una grande conoscenza di ingegneria e architettura. Inoltre, nel sito sono state ritrovate numerose incisioni e questo fa pensare che siano stati a conoscenza di una scrittura basata su pittogrammi.

Le incisioni sulla pietra sono molto simili a quelle su una tavoletta di pietra ritrovata alcuni anni fa ad Okinawa, che riporta un linguaggio ancora indecifrabile ma un disegno inciso sopra ricorda molto (secondo Kimura) un tempio sommerso. 

Le ultime analisi del professor Kimura e gli studi portati avanti dalla comunità archeologica sembrano confermare che il complesso sottomarino ha strette relazioni con le rovine precolombiane ed egiziane.

Forse si trattava di un sito religioso e cerimoniale che non ha corrispondenze con nessun'altra architettura sacra dell'estremo Oriente e che si lega invece a siti archeologici presenti in altre parti del mondo. In particolare, l'intero complesso sottomarino come progetto architettonico è sorprendentemente simile alla città Inca di Pachacamac in Perù.

Il professar Kimura si dichiara convinto che il tutto è opera di un popolo molto intelligente "con un alto grado di conoscenza tecnologica e di cui finora non avevamo nessuna traccia". Anche l'età stimata del complesso lascia perplessi; Teruaku Ishi, docente di geologia all'Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all'ottomila a.C.. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.; come dire, più antica delle piramidi d'Egitto.

giovedì 12 luglio 2012

Cose vere dal mondo...La piramide sommersa di Yonaguni - part 1

“Nuotavo spinto dalla corrente quando improvvisamente mi si parò davanti una ripida parete di pietra, Dovetti aggrapparmi con le mani alla roccia per costeggiare la struttura e non essere spinto lontano. Dopo la lunga passeggiata subacquea mi ritrovai di fronte a uno spettacolo da mozzare il fiato: la facciata era percorsa da scalinate, ognuna delle quali conduceva a terrazzamenti su vari livelli, in un insieme irregolare, ma continuo fino alla cima. La costruzione era così perfetta che mi aspettavo da un momento all’altro di vedere qualcuno uscirne. Ma gli unici abitanti erano i pesci che nuotavano intorno a me, e il silenzio del luogo era rotto solo dal battito del mio cuore”.
Immagine1



Queste le parole con le quali il giapponese Kikachiro Aratake, un Sub di Yonaguni (piccola isola dell’arcipelago delle Ryukyu a Sud del Giappone), descrive la sua favolosa scoperta del 1985. Durante un’immersione a circa 150 metri al largo dell’isola si trovò davanti ad un’enorme struttura di pietra dall’aspetto simile a una piramide, che si ergeva ad una profondità di 25 metri e che potrebbe rivelarsi la più antica costruzione fatta dall’uomo. 


Sappiamo che le prime grandi culture della nostra civiltà furono quelle Egiziane e Mesopotamiche; ma se la scoperta di Aratake si rivelasse quello che sembra, dovremmo riscrivere la storia dell’intera umanità.



In questo modo ci sarebbero le prove dell’esistenza del leggendario Mu, continente che secondo una leggenda si inabissò nell’Oceano Pacifico migliaia di anni fa. Fin dal 1868, quando il colonnello Jason Churchward affermò di essere in possesso di alcune tavolette di argilla, che recavano incisa in una scrittura misteriosa la storia del grande continente di Mu, si iniziò a cercare qualcosa che fosse una traccia di questa antica civiltà in tutto il Pacifico, senza però mai avere successo. 




La notizia del ritrovamento fu divulgata alla comunità scientifica nel 1986 e nel 1990 la zona fu dichiarata sito archeologico, ma in molti pensano ancora che la struttura sia solo una bizzarra realizzazione di madre natura. 


Continua.....










martedì 10 luglio 2012

keep calm...


in fondo al mar....


L'eternità

È stata ritrovata!
- Cosa? - l'Eternità.
È il mare unito
Al sole.
ARTHUR RIMBAUD


Scena da un'ordinaria immersione domenicale. 





Ci voleva come una seduta di psicoterapia perchè su di me ha lo stesso effetto, scendi laggiù ma i problemi non ti possono seguire e se lo fanno annegano.....













venerdì 6 luglio 2012

Yayoi Kusama - part 3 - capsule collection con Louis Vuitton

Eccoci alla fine del percorso su Yayoi Kusama: la sua collaborazione con Louis Vuitton fortemente voluta da Marc Jacobs. L'incontro tra i due risale già al 2006 quando Kusama customizzò una borsa (Ellipse Bag) con i suoi leggendari pois. 


Ellipse Bag nelle mani di Yayoi Kusama - 2006 - Tokyo


Il prossimo 10 luglio, con l'apertura di una retrospettiva su Kusama al Whitney Museum di New York, verrà presentata a Parigi questa vasta capsule collection, i cui capi spaziano dai trench fino alle collane pendenti ed ai pigiami di seta: la linea sarà in vendita in moltissimi negozi del marchio fin dal giorno successivo.

Una seconda parte della collezione - personalizzata da un altro motivo iconico di Kusama, i nervi biomorfici, verrà poi presentata a ottobre 2012.

Yayoi e Marc, confidenzialmente...

Ma marc Jacobs ama l'arte e lo dimostra: vetrine degli store Louis Vuitton di tutto il mondo, a partire dal 10 luglio, saranno decorate con gli emblematici motivi di Yayoi Kusama tra cui spiccano i fiori intitolati “Fiori eterni rigogliosi nella mente”, ma soprattutto i pois rossi su sfondo bianco "Distruzione totale di sè".

esempio di capi dalla capsule collection

"Her energy is just endless," Jacobs said."For many people who don't look at art or go to galleries, or maybe they're not aware of Kusama's work, there will be a new venue, a new place to see this work and to come to appreciate it through the eyes of Louis Vuitton."


mercoledì 4 luglio 2012

Yayoi Kusama - part 2

A partire dal 1967 Yayoi organizzò numerose performance provocatorie in vari luoghi di New York, dalla Borsa a Central Park ed al Museum of Modern Art dipingendo a pois i corpi dei partecipanti o facendo loro indossare le sue creazioni di moda, disegnate appositamente per l’occasione, fondendo il suo mondo artistico interiore con la realtà esterna. 






I pois rappresentano l’infinito, la dissolvenza, l’eternità, la scomparsa ed arrivano fino alla distruzione dell’artista ricoperta da pois come da una forza distruttiva.



“Si sparpagliano un po’ ovunque  e riescono a fare germogliare l’amore in ogni angolo dell’universo». 




Ma il suo apice artistico sono le installazioni: per la perfezione cromatica, la meticolosità di realizzazione, le geometrie bizzarre, l’equilibrio delle forme e le sensazioni che regalano.















All’inizio degli anni Settanta, continuando a soffrire a causa dell’esaurimento nervoso, Kusama ritornò in Giappone, dove cominciò a scrivere romanzi, racconti e poesie surreali tra cui The Hustler’s Grotto of Christopher Street (1983) e Violet Obsession (1998). Nel 1977 si auto ricoverò in un ospedale psichiatrico e cominciò a rivisitare temi di cui si era occupata precedentemente nella sua arte, come i dipinti Infinity Net e le sculture Accumulation. 

Nel 1993 produce per la Biennale di Venezia un’abbagliante sala degli specchi piena di sculture a forma di zucca, come un orto artificiale presieduto dall’artista stessa, vestita da strega. Da allora Kusama ha eseguito diverse importanti sculture da esterno su commissione, perlopiù nella forma di enormi piante e fiori dai colori vivaci, per istituzioni pubbliche e private, tra cui il Fukuoka Prefectural Museum of Art di Fukuoka, il Benesse Art Site di Naoshima e il Matsumoto City Museum of Art di Matsumoto, in Giappone; l’Eurolille di Lille, in Francia; e il Beverly Hills City Council di Beverly Hills, in California.



La scultura di Kusama invece mostra un approccio alla visualizzazione dell’infinito attraverso il continuo uso di specchi, come nella scultura autoportante Passing Winter (2005) o nel complesso ambiente Aftermath of Obliteration of Eternity (2008), che utilizza un sistema di semplici ma ingegnosi strumenti ottici per creare un’interazione senza fine di luce riflessa. Il più recente gruppo di sculture monumentali di Kusama Flowers that Bloom at Midnight sono fiori barocchi dai colori accesi, che misurano in altezza tra 1.5 e 5 metri. 


passing winter 2005


Aftermath of obliteration of eternity

Oggi Kusama compone i dipinti Infinity Net come campi pieni di elementi uniformemente distribuiti, siano austere monocromie o vibranti contrasti a tinte psichedeliche, come lo spettacolare dipinto a cinque pannelli I Want to Live Forever (2008). I suoi ultimi dipinti figurativi, come Cosmic Space (2008) dove occhi, amebe e altre forme biomorfe indeterminate abbondano, riflettono un’ossessione per la mortalità, oltre che per l’illuminismo, la solitudine, il vuoto, e i misteri dell’universo fisico e metafisico.

I want to live forever - 2008
cosmic space 2008

Le opere di Kusama sono attualmente esposte nelle collezioni permanenti dei più importanti musei del mondo, tra cui il Museum of Modern Art, New York; il Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles; il Walker Art Center, Minneapolis; la Tate Modern, Londra; lo Stedelijk Museum, Amsterdam; il Centre Pompidou, Parigi; e il National Museum of Modern Art, Tokyo. 

La sua prossima retrospettiva sarà al Whitney museum di New York dal 12 luglio al 30 settembre ed ospiterà il lancio della collezione “Louis Vuitton - Yayoi Kusama”, firmata dall’artista per la storica maison parigina.

È il continuum di un percorso che ho iniziato quando sono approdato quila concezione dell’arte come forma di collaborazione e confronto tra vari artisti». 


Marc Jacobs

to be continued...

martedì 3 luglio 2012

Yayoi Kusama - part 1



Cosa ci fa una signora di 83 anni in un coloratissimo studio di Tokyo con una parrucca arancione ed un abito rosso a pois neri? Cosa ci fa da lei Marc Jacobs direttamente da Louis Vuitton?



Lei si muove da una stanza all'altra su una sedia a rotelle ed è seguita come un'ombra dal manager Isao Takakura, che le fa anche da confidente, amico e fratello. Questa arzilla signora dipinge ad ogni ora del giorno e della notte, sia nel suo studio in città sia nella clinica psichiatrica nella quale si è ricoverata volontariamente nel 1977. 


Lei è un’icona contemporanea e la regina dell’arte moderna. Lei è la donna dei pois, dei cerchi, delle zucche, dei colori fluo e delle forme strane ed è stata alle feste di Andy Wahrol alla Factory (si, si è anche drogata..).



Questo è uno dei miei post più elaborati e più sentiti, nato da un vero colpo di fulmine scoccato sabato pomeriggio mentre leggevo pigramente Elle su una sdraio in piscina.

Lei si chiama Yayoi Kusama, lei è spesso sotto psicofarmaci in un suo mondo parallelo e questa è la sua storia.

«Devo parte della mia creatività alle medicine che prendo»


Yayoi Kusama è nata in Giappone nella città di Matsumoto il 22/03/1929. Nel 1942, un anno dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, iniziò a studiare la pittura Nihonga, uno stile di grande rigore formale sviluppatosi durante l’era Meiji (1868-1912) per contrastare l’influenza indiscriminata dell’arte occidentale, infondendo nuova vita alle tradizioni della pittura giapponese e mescolandole con elementi di derivazione occidentale. Nel 1944 la classe di studenti di cui faceva parte fu reclutata per lavorare nelle fabbriche tessili militari. A causa delle dure condizioni lavorative Kusama si ammalò e fece ritorno a casa. Durante la lunga convalescenza sviluppò le sue capacità artistiche, raffinò le sue tecniche di illustrazione e coltivò la sua sensibilità estetica e politica.



Nel 1958 si trasferisce a New York attirata dal potenziale sperimentale della scena artistica dell’epoca. Qui, grazie a Warhol, ma soprattutto all’LSD, venivano organizzati i party più geniali di tutti i tempi. 





Nel 1959, quando era ancora una giovane artista che stentava ad affermarsi a New York, Kusama creò i primi, stupefacenti dipinti della serie Infinity Net: grandi tele lunghe anche dieci metri, interamente ricoperte di ritmiche ondulazioni di piccole pennellate circolari e spesse.


Infinity Net - 1967

Infinity net 1957

Il paradosso filosofico di questi lavori – e cioè che “l’infinito” possa essere inserito all’interno della cornice di una tela – insieme alle implicazioni soggettive ed ossessive della loro creazione, li distinsero dall’astrattismo minimalista che avrebbe dominato la scena artistica locale parecchi anni dopo. La sua prima esibizione importante a New York fu presso la galleria Stephen Radich nel 1961 e fu accolta con grande entusiasmo dalla critica. 





In questi anni Yayoi venne colpita da una grave ricaduta nervosa che le impedì di dedicarsi a lavori così minuziosamente dettagliati. 


Pertanto, proseguì il suo percorso artistico sviluppando altri filoni tra cui le soft sculptures falliche Accumulation (1961-1962), Sex Obsession (1962-1964) e Compulsion Furniture (1964). Le sue opere falliche sono bellissime, realizzate quando negli anni ’60 recuperava per strada materiali con l'amico Donald Judd e poi li lavorava, spesso ricoprendoli di falli di stoffa: identità snaturate, contraffatte, abitate, come le persone corrose dai propri pensieri. 

Accumulation - 1963

sex obsession
sex obsession

Successivamente queste opere vennero inserite in ambienti sensoriali a grandezza naturale e nelle le prime ingegnose infinity rooms come Floor Show (1965), che realizzò utilizzando specchi. 

floor show - 1965

Alla Biennale di Venezia del 1966 si presentò con l’intento di attirare l’attenzione sulla difficoltà della produzione di valore artistico all’interno del complesso sistema che coinvolge governi, curatori, collezionisti, commercianti e critici. L’installazione presentata con l’assistenza di Lucio Fontana, Narcissus Garden, consisteva in 1500 sfere riflettenti sparse direttamente su un tappeto d’erba sintetica posizionato di fronte al Padiglione Italiano nei Giardini presso il Palazzo delle Esposizioni (curiosità: per sottolineare gli aspetti commerciali, ogni sfera venne venduta a 1.200 lire).



to be continued.... 

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